Solchi

Uno dei fenomeni naturali che più mi affascina è l’erosione.
La forza degli agenti atmosferici, nei secoli, capaci di plasmare anche le rocce più dure e dar vita a delle vere e proprie opere d’arte. Potrei citarne molte famosissime su scala planetaria, ma perché scomodarsi tanto quando a 20km da casa c’è questo?

Ho parlato più volte di questo luogo e più volte l’ho fotografato; sono i Calanchi di Atri, in provincia di Teramo.

Spero che tutti gli abruzzesi in lettura lo conoscano, in caso contrario sarebbe una bella lacuna da colmare al più presto.

Certo, qui non si parla delle “rocce più dure”, questo contribuisce a rendere il tutto ancora più “semplice” per la natura e affascinante per me. Ho perso il conto di tutte le volte che sono stato qui, anche senza far nulla, anche solo per sedermi e guardare. Penso di averle contate tutte, una ad una, quelle guglie di terra, di aver percorso con gli occhi tutti i solchi da esse formati.
Ricordo ancora come se fosse ieri quel giorno in cui io e pochi altri pazzi scendemmo, al seguito di una guida, fino al punto più in basso.

Avevo la Canon 6D con il 14mm manuale allacciata al collo. Già, allacciata, perché io sono notoriamente avverso alle tracolle (non si è mai capito il motivo) e quindi riuscii ad assicurarmela con un cordino che avevo nello zaino. Ricordo che impostai la messa a fuoco e altri parametri, per poi scattare, mentre scendevo, praticamente senza guardare. Non starò qui a scrivere la sceneggiatura dell’ennesima pubblicità dell’Amaro Montenegro, in cui i nostri eroi portano in salvo l’antico vaso sul fondo dei Calanchi, ma devo ammettere che è stata un’impresa discretamente potente, soprattutto al ritorno, quando siamo risaliti sulla cresta sbagliata e ci hanno dovuto “aiutare” dalla sommità, calando giù una radice discretamente solida.

A me capita spesso, quando sono in un posto a cui tengo particolarmente e relativamente “silenzioso” di non riuscire a controllare i pensieri. Spesso mi ritrovo al galoppo del mio cervello, senza briglie e senza sella, semplicemente ci sto sopra mentre lui fa un po’ la cespa che gli pare. A volte capita che ai solchi sul terreno se ne aggiungano altri, di natura diversa e forse anche più profondi. Io sono uno dei più accaniti sostenitori del fatto che pensare troppo faccia male; l’ho sempre detto e sempre sperimentato sulla mia pelle, in quanto, purtroppo, in 30 anni non sono riuscito a trovare il pulsante “stand-by” del mio cervello. I miei posti preferiti per spremere il cervello sono indubbiamente la macchina (dato che percorro un discreto quantitativo di chilometri) e, appunto, i calanchi; ce ne sono chiaramente altri, ma qui si parla dei preferiti.

Diciamo che quando non voglio pensare troppo… faccio foto.

Stavolta lo scopo della mia visita qui non era certo quello di far spurgare il cervello, ma quello di scattare una foto in particolare, questa:

Vi lascio qui sotto una versione “navigabile” della foto, vi assicuro che ne vale la pena.

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Mi piacerebbe realizzarne una ancora più “dettagliata”, ma per farlo dovrei scendere di nuovo giù… forse un giorno ci proverò. Per ora mi accontento di avere un amico svolazzante e rumoroso al quale poter affidare il compito di guardare al posto mio. Chiaramente la mia presenza lì, in quel momento, drone alla mano, è stata dettata dalla contemporaneità di un fenomeno atmosferico scorto dal balcone di casa, dopo la pioggia di domenica mattina: le nuvole. Quelle belle nuvole ciccione che mi sono mancate tanto nelle ultime trasferte in Puglia, dunque ho recuperato in patria. Questa foto è un altro esempio abbastanza lampante di ciò che rappresenta per me il drone: non è un coso da sparare in alto perché “ooooooooh!!”, è uno strumento molto valido per dislocarsi in posti irraggiungibli – o comunque molto difficili da raggiungere. In sostanza questa foto non ha “nulla” di drone, se non il fatto che è stata possibile grazie ad esso: è un “normale” 28mm, neanche dei migliori. Ma pensando alla versatilità e alle infinite possibilità che si spalancano, quel 28mm vale più di qualsiasi altra ottica, per me.

Ci tornerò, con tutte e tre le batterie cariche. Ci tornerò ancora e ancora, ad esplorare quei solchi uno ad uno, da vicino, mentre cerco delle corrispondenze con quelli che si creano nella mia mente, inondando il terreno “fin troppo fertile” del mio cervello con tempeste di pensieri.

Vi lascio con qualche foto scattata in discesa, nel il punto più basso, e altre panoramiche scattate giù, a mano e con il 14mm.

Perché, secondo voi… una volta arrivato fin laggiù potevo forse risparmiarmi le panoramiche?

Ok, sono passati 4 anni ma… chi nasc’ tonn’ nin po’ murì quadrat.

Panoramiche a foto singola

Panoramiche esplorabili

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Il momento in cui smetterò di essere fatalmente attratto e affascinato dalla natura e da tutte le meraviglie che ci regala non è mai stato così lontano.

Cheers.